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5 luglio, 2018

Ricerca e sviluppo: i nuovi materiali plastici per sconfiggere l’inquinamento

Dire addio ai vecchi polimeri a base petrolio e a quelli usa e getta è l’obiettivo della plastica del futuro che, prendendo spunto dalla natura, diventa “smart”: ossia nata da scarti organici e completamente biodegradabile al 100%. Un sogno o una realtà?

Molto probabilmente buona parte della generazione futura utilizzerà plastica che non rischia di uccidere l’ambiente. Sempre più forte è, infatti, la consapevolezza che le risorse vanno preservate, ripristinate e garantite per le future generazioni e che i rifiuti devono diventare una risorsa anziché un problema. Il concetto di Economia Circolare, di cui avevo già scritto, anche grazie alle istituzioni prende così sempre più piede. Nuovi prodotti concepiti e progettati per essere riciclati, riutilizzati e rigenerati dopo il loro uso sono alla base di tante e nuove ricerche svolte nei laboratori di non solo grandi nomi ma anche piccole aziende italiane desiderose di cambiare in meglio l’avvenire delle generazioni future.

Forse non tutti lo sanno ma oggi la ricerca italiana è leader nella ricerca sulle bio-plastiche: la pellicola fatta con le bucce di pomodoro e poi diventata famosa nel mondo nasce nell’Istituto di chimica biomolecolare del CNR di Pozzuoli in provincia di Napoli; polimeri naturali e biodegradabili al 100% dagli scarti organici (tecnicamente chiamati poliidrossialcanoati: PHAs) si studiano invece a Bologna nella Bio-On S.P.A. per realizzare un materiale in grado di sostituire le principali famiglie di plastiche tradizionali grazie alla fenomenale proprietà di sciogliersi in acqua ed in terra senza disperdere ulteriori residui; spugne fatte coi fondi di caffè sviluppate dall’Istituto italiano di tecnologia di Genova riescono a rendere potabile l’acqua, mentre altre riescono ad assorbire persino il petrolio che poi si può recuperare semplicemente spremendo le stesse. Film biodegradabili e rivestimenti commestibili per alimenti e scatolette sono derivati da piselli, lenticchie, soia, fagioli ed altri ortaggi di scarto nella Stazione Sperimentale Industria Conserve Alimentari di Parma. Materiali plastici non inquinanti ed efficienti, come vernici e prodotti sanitari, nascono infine oggi da gusci di cacao, arance o crostacei, alghe o cannella. Tanto per citare qualche caso più famoso, ma le realtà che si muovono nell’ambito della ricerca sono tante. In Puglia per esempio la plastica biodegradabile nasce dagli scarti dei latticini e se immaginiamo ad esempio che su dieci chili di latte lavorato solo due finiscono per diventare formaggio ed il rimanente refluo da smaltire queste innovazioni possono cambiare davvero le carte in tavola (tanto per rimanere nell’ambito culinario). Qui nel Sud Italia, dove esiste da sempre una grande tradizione nella produzione di latticini, il progetto “Biocosì” sviluppato da EggPlant ed Enea sta puntando a trasformare i reflui caseari in risorse dando vita così a nuovi imballaggi alimentari che potranno entrare nelle linee produttive. Il Lattosio, ossia lo zucchero del latte contenuto nei reflui caseari, è l’elemento attorno cui ruota l’innovativo progetto. Lo zucchero, attraverso un processo che permette il frazionamento del siero del latte, viene così processato per ottenere poliidrossibutirrato ossia un polimero completamente biodegradabile ed adatto a diversi tipi di applicazioni, dall’eco-packaging alimentare ai prodotti nel campo della cosmesi, della biomedicina e dell’elettronica. In perfetto spirito di economia circolare, il progetto ribalterà il concetto stesso di rifiuto: da un lato gli scarti si trasformeranno in materia prima, dall’altro la bioplastica prodotta sarà al 100% biodegradabile.

Oltre alla creazione di nuovi materiali da zero, e rubando alla Natura come già detto, si assiste nel mondo alla “riscoperta” di materiali e pratiche passate adatte al cambiamento di visione ecologica presente. Questi sono anche gli anni del ritorno, ad esempio, della cellulosa, il polimero naturale più abbondante sulla Terra ed in grado di conferire rigidità e resistenza alle piante, che fu scoperto per la prima volta nel 1855 dallo scienziato inglese Alexander Parkes. Un’azienda australiana ha sviluppato oggi un metodo per replicare il processo naturale che si realizza nelle cellule vegetali: il risultato è una sostanza molto densa simile al legno che, essendo biodegradabile, può essere trasformata a fine ciclo in compost (una sorta di terriccio fertilizzante). Tale caratteristica la porterebbe così a poter sostituire l’attuale produzione di polimeri chimici. Sempre alla natura si sono affidati i ricercatori dell’Università Americana di Harvard quando hanno estratto un polimero polisaccaride dalle cuticole degli insetti in generale, e dal guscio del gambero in particolare, ed hanno messo a punto un film sottile e trasparente che ha una resistenza equivalente a quella dell’alluminio pur pesandone solo la metà e rimanendo facilmente modellabile in forme complesse. Fino a poco tempo fa era impensabile pensare a materiali che senza l’ausilio del calore, della luce o di qualche reagente chimico avrebbero potuto “auto-ripararsi” così da ridurre la proliferazione dei rifiuti, la pratica dell’usa e getta e quindi di conseguenza anche lo sfruttamento delle risorse. Ma nuovi studi legati alla capacità di alcuni composti di scambiarsi gli elementi che li costituiscono per dare vita a nuovi prodotti sembrano ottenere i primi risultati positivi. I ricercatori spagnoli del CIDETEC di San Sebastian, ad esempio, hanno usato i disolfuri aromatici derivati dallo zolfo, che hanno la particolarità di attivarsi naturalmente e a temperatura ambiente, per riparare una plastica estensibile come il poliuretano attraverso un processo in grado di eliminare il danno in un paio d’ore senza alcun intervento umano. Un procedimento simile è stato sviluppato anche per far scomparire, in poco più di un minuto, stavolta grazie alla luce ultravioletta, graffi su mobilie e carrozzerie varie di automobili. Materiali rivoluzionari che promettono così sia potenzialmente di risparmiare più soldi togliendo l’esigenza di ricomprare beni usurati dall’uso e dal tempo, sia di regalarci un mondo, grazie ad un uso più attento e corretto delle limitate risorse del nostro pianeta, che magari non sarà per forza migliore di quello attuale, ma sicuramente più green.

Alberto Azario