1655 Alberto Azario Articoli
12 febbraio, 2019

End of Waste, perché non è ancora possibile trasformare i rifiuti in risorse?

Se ne discute, se ne scrive e se ne legge da mesi, “l’End of Waste” (tradotto in italiano in “Cessazione della qualifica di rifiuto”) allo stato attuale non è ancora stato adeguatamente regolamentato in Italia e anzi, ritirato dal DL Semplificazione solo pochi giorni fa, rischia di bloccare tutti quegli impianti di riciclo che permettono oggi di trasformare i rifiuti in risorsa. Ma di preciso a cosa ci si riferisce con questo termine tecnico così tanto citato ultimamente e perché il governo ha voluto bloccare le autorizzazioni di fatto mettendo in allarme tutte le imprese del settore?

Quando ci riferiamo al termine “End of Waste”, è bene chiarirlo subito, parliamo di un processo di recupero eseguito su un rifiuto, al termine del quale esso perde tale qualifica per acquisire quella di prodotto. Intendiamo, quindi, non il risultato finale, bensì il processo che, concretamente, permette ad un rifiuto di tornare a svolgere un ruolo utile come prodotto. Il termine, come spesso accade in materia ambientale, nasce in ambito europeo, precisamente nel contesto della revisione della normativa dell’Unione Europea sui rifiuti contenuta nella direttiva 2006/12/CE alla quale il Parlamento ed il Consiglio UE hanno provveduto adottando la direttiva 2008/98/CE del 19 novembre 2008, ancor oggi conosciuta come “ direttiva quadro in materia di rifiuti”. Quest’ultima direttiva pone al primo posto della scala di priorità delle modalità di gestione dei rifiuti la prevenzione e, immediatamente di seguito, la preparazione per il riutilizzo (come specificato nell’art. 4[4]). Il concetto di cessazione della qualifica di rifiuto si inserisce, pertanto, proprio in queste prospettive, risultando in linea con l’obiettivo manifestato di prevenzione e riutilizzo di cui il processo di recupero che permette ad un rifiuto di tornare ad essere un prodotto fa parte. Ma quando un rifiuto smette di essere tale? A livello pratico, un rifiuto cessa di essere tale quando è stato sottoposto a un’operazione di recupero e soddisfa le precise condizioni stabilite dall’art. 6 della direttiva quadro (ossia quando è comunemente utilizzato per scopi specifici; quando esiste un mercato o una domanda per tale sostanza od oggetti; quando la sostanza o l’oggetto soddisfa i requisiti tecnici per gli scopi specifici e rispetta la normativa e gli standard esistenti applicabili ai prodotti; quando, infine, l’utilizzo della sostanza o dell’oggetto non porterà a impatti complessivi negativi sull’ambiente o sulla salute umana). Semplificando per quanto possibile l’argomento si giunge all’ormai nota sentenza n. 1229 del 28 febbraio 2018, con la quale il Consiglio di Stato, richiamando la citata Direttiva quadro sui rifiuti (2008/98/CE), l’art. 6 in particolare, interpreta riservando in via esclusiva allo Stato la possibilità di determinare i criteri di dettaglio che, in assenza di Regolamenti europei, consentono di dimostrare il rispetto delle quattro condizioni indispensabili per la realizzazione dell’end of waste, la cessazione della qualifica di rifiuto o, in altri termini, la generazione di prodotti o di materie prime a seguito di operazioni complete di recupero dei rifiuti di cui all’art. 184-ter del D.L.vo 152/2006. Il risultato è presto detto: quando scadranno le autorizzazioni degli impianti di recupero (con l’eccezione di quelli che beneficiano delle “procedure semplificate di cui all’art. 216 del D.L.vo 152/2006), si avrà, come diretta conseguenza di questa sentenza, un parziale blocco delle attività di recupero di rifiuti.

Nei passati giorni il Governo Italiano ha, però, ritirato dal DL Semplificazione l’emendamento che avrebbe avviato a soluzione il problema del blocco delle autorizzazioni degli impianti di riciclo che permettono di trasformare i rifiuti in risorse e che ora rischiano così di finire in discarica e verso gli inceneritori, lasciando così irrisolto il problema. Così, dopo aver scampato il pericolo rappresentato da un complicatissimo e dannoso, secondo il parere di molti esperti del settore, emendamento, che il Governo aveva presentato in manovra e poi ritirato a seguito dell’azione di sensibilizzazione di Associazioni di categoria, Regioni e mondo ambientalista, siamo di fronte ad un ulteriore blocco legislativo che rischia di distruggere il buono realizzato in questi anni in Italia sul fronte dell’economia circolare, tema che è stato, inoltre, in campagna elettorale e nei mesi passati proprio bandiera di una parte dell’esecutivo ora al Governo. Il settore del riciclo italiano leader a livello europeo e base sulla quale costruire la tanto decantata ‘economia circolare’, aspetta da quasi un anno una piccola e semplice modifica normativa che risolva il problema creatosi con la sentenza del Consiglio di Stato del 28 febbraio dello scorso anno. L’ultima versione dell’emendamento “end of waste” , contenuto nella legge di bilancio approdata in Senato lo scorso 10 dicembre, pur se da una parte faceva salve le autorizzazioni già rilasciate in base al vecchio decreto ministeriale del 5 febbraio 1998 sul recupero rifiuti, non teneva conto adeguatamente dell’innovazione tecnologica sul riciclo che è maturata negli ultimi venti anni, per questo era stata bocciata da Legambiente, secondo il cui parere anziché incentivare il riciclo dei rifiuti avrebbe, invece, aumentato il flusso in discarica o negli inceneritori. Così, se tale problema non verrà risolto, inevitabilmente si potrebbe arrivare alla chiusura di impianti di riciclo, perdita di posti di lavoro, fuga all’estero di investimenti innovativi e di fatto alla riduzione dei quantitativi di rifiuti riciclati con l’aumento esponenziale dello smaltimento in discarica e negli inceneritori. Questo importante e fondamentale settore virtuoso, sia per l’economia sia per l’ambiente, necessita di ancora più attenzione da parte dei nostri legislatori, l’augurio è che presto si possa definire in maniera saggia e univoca la regolamentazione di quello che è un tema che, per troppo tempo, è stato dibattuto su giornali e tv senza esser giunto ad una adeguata, saggia ed univoca soluzione.

Alberto Azario